venerdì 16 dicembre 2016

"Indovina chi": le cinque domande del disagio

1) "Ci conosciamo?"
- No, forse, non so.
2) "Dove ci siamo già visti?"
- Non lo so, non ricordo.
3) "Mi ricordo il tuo volto".
- Io no, perdonami.
4) "Hai un viso familiare."
- Tu per me non tanto.
5) "Il cognome non mi è nuovo".
- #esticazzi.
Ognuno ha le sue domande dell'imbarazzo e del disagio, le mie sono queste cinque alle quali rispondo sempre come sopra, tranne che all'ultima in cui  "#esticazzi" non è verbalizzato, ma molto spesso pensato.
Quando incontro qualcuno e quel qualcuno dice di conoscermi, state pur sicuri che io di lui non ricordo l'esistenza.
Inizio con il far finta di ricordarmi dell'interlocutore con cui sto parlando, ma già da quando lui pronuncia il "ciao" tutto il mio volto assume la forma di un grande punto interrogativo.
Lo capiscono sempre che non li ho riconosciuti, perché Dio ha ben pensato di donarmi il dono della mimica facciale incontrollabile, nel bene e nel male, che fa capire benissimo agli altri cosa sto pensando, ad esempio "non so chi tu sia ma, va tutto bene carissimo/a, inizia pure con la top five delle domande!". 
Mi leggono nel pensiero ed attaccano subito con il question time.
Meraviglioso momento di disagio.
"Ma dai non ti ricordi di me?"
No, non mi ricordo sennò non stavamo qui a fa tutta sta piva.
Fatto sta che nonostante mi spieghino la genesi del dove ci siamo conosciuti io non riesco a ricollegare, ho tipo un pannello nero con scritta bianca che naviga nel cervello e dice " a destra per figura di merda; a sinistra per fuga con figura di merda annessa".
Mi sembra proprio di giocare ad "indovina chi".
La cosa peggiore é quando incontro degli avversari di "indovina chi" che affermano "mi sembra di conoscerti, dove ci siamo già visti?"
Panico.
Inizia la centrifuga di pensieri:
- se lo sapevo te lo dicevo.
- Di quale vita starà parlando?
- In quale situazione deplorevole mi avrà visto?
Spero sempre che sia la vita giusta e il contesto azzeccato, perché  se per ipotesi mi avesse incontrata dieci anni fa, il bene supremo per tutti é chiamare a rapporto la voragine risucchiatrice ed evitare una figura di merda esponenziale.
Generalmete parto con elenco di opzioni che quasi mai porta a risultati.
Mi sento come se facessi un test di resistenza.
La persona deve capirlo e continua con le domande.
Ho la sudorazione mentale ed organica interna.
Ma niente si continua con "Avevi gli occhiali? Il cappello con il fiore? Il rossetto?".
"Ah ma dai, tu stai cercando Claire! Non sono io".
L'ho scampata, almeno per questa partita. 
Aspetto la prossima, non con ansia.







martedì 13 dicembre 2016

Ci sono mamme come me

Ci sono mamme come me, che escono alle 18.00 dal lavoro e corrono a recuperare i figli in qualche parte del globo. Donne consapevoli che essere madri, in più lavoratrici, vuol dire essere sempre a rischio.
Rischi di vario genere, natura, entità, frequenza che spuntano da ogni dove. Alcuni li preveniamo, ma altri nonostante il duro allenamento diventano spesso dei veri e propri "allarmi rossi".
La tipica situazione del passaggio da rischio ad allarme rosso è legata al frigo che scopriamo di avere vuoto appena rientrate a casa. Infatti, dopo aver circumnavigato la terra ed essere riapprodate a casa con i figli attaccati al braccio e/o al collo come degli scimpanzè, la borsa pesante e piena di roba che in confronto quella di Mary Poppins è equiparabile ad un sacchetto di caramelline, la borsa con i documenti del lavoro che cerchiamo di salvare, i giochi dei nani che  spuntano anche dalle orecchie, andiamo dritte ad aprire il frigo per preparare la cena e constatiamo che dentro ci aleggia il NIENTE.
Ci sono mamme come me, che nonostante il frigo non offra nulla per la cena  lo guardano e osservano intensamente, fino a che il coso freddo non urla "guarda sto cazzo, che tanto da mangiare non ci sta!".
Alle mamme come me succede di rimanere con il frigo che ti ride alle spalle ogni volta che i mariti sono fuori per lavoro o rincasano tardi. Ci si può rimettere l'orologio.
Le mamme come me si sforzano di trovare un Piano B che è però sempre lo stesso. Il piano B approda alle nostre menti come un pensiero salvifico composto da un M gialla con un rettangolo rosso sotto.
"Bambini, non vi preoccupate, stasera tutti a mangiare al McDonald's!"
Gioia, Gaudio e tripudio per  loro.
Cena risolta e bocche sfamate, per le mamme come me.
Al cubo di legno con la scritta gialla e il rettangolo rosso attaccato, ogni volta che vado (non spesso per fortuna ma succede, come ieri sera) incontro mamme come me.
Mamme sposaste, single, accompagnate, in qualsiasi condizione con la tuta, con il tacco, con i jeans o con la gonna, senza mariti o compagni, madri che non intendono farsi disarmare da un frigo vuoto, che cercano rifugio dalla stanchezza della vita. Una vita fatta di ritmi frenetici dove respirare sembra un'impresa e non essere giudicate un miracolo.
Mamme come me, diverse dalle proprie madri, che non avrebbero mai permesso di non far trovare un pasto caldo sulla tavola ai figli, ma non per questo di meno valore, perché tutte le madri sono animate da una cosmica energia e tenace follia che non le disarma e le fa dire "questa sera bimbi serata romantica al McDonald's con mamma, perché la disagiata non ha avuto tempo di fare la spesa!".



mercoledì 30 novembre 2016

A Maddalena

Cara Maddi,
questa notte ti ho sognata. Stavi nascendo, eri piccola, stavi sul palmo di una mano: eri prematura, troppo prematura. Ti chiamavamo, appunto, Maddalena.
Mi sono svegliata e non riuscivo a respirare, ho provato a svegliare papà, ma senza risultati. Mi sono riaddormentata dopo un po' ed era estate. Noi due con i tuoi fratelli stavamo in piscina a casa dello Zio Federico, la casa nuova in cui andrà ad abitare fra poco.
Maddi ti ho sognata e tu sei la figlia che io ho paura di avere. Con papà spesso parliamo di avere un altro bambino, ma poi taglio corto dicendo che ancora non me la sento, perché non voglio che si ripeta quello che è successo a tua sorella Margherita.
Maddi Maddi, la mamma trema al pensiero che un'altra bambina possa rischiare di morire ed allora preferisce non fare, non osare e a volte non pensare.
Non sporcarsi le mani è una via mediocre, la mamma lo sa.
La mamma invidia tutti quei genitori che hanno il coraggio di riprovare nonostante il dolore sperimentato, di mettersi nelle mani di Dio fidandosi. Dio perdonerà una figlia  che non riesce più a fidarsi, perché nessuno può confermarle che quello che è successo a Margherita non si ripeterà più. Nessuno lo dice, perché la possibilità non é esclusa.
 La mamma si chiede spesso come facciano le coppie con un vissuto doloroso a riaprirsi alla vita.
Cara Maddi, non sai la sofferenza che abbiamo vissuto, sperimentato, quante ferite, quanta solitudine, quanto non amore, quante lacrime, quante parole non dette, quante grida silenziose sono passate sulla pelle della mamma e del papà quando Margherita stava male. 
La vita, però, riserva grandi sorprese ed alla fine tua sorella ce l'ha fatta: è il nostro piccolo miracolo. Chissà Maddi se tu sarai il prossimo?
I tuoi fratelli ti aspettano, chiedono un fratellino, Edoardo, ma credo che una sorella o un fratello siano, a prescindere dal sesso, un grande dono e una grande ricchezza, per tutta la vita. I tuoi fratelli sono molto affiatati, estremamente diversi, molto affascinati per i loro caratteri, ma hanno un particolarità che li rende meravigliosi ai miei occhi: riempiono di amore la nostra famiglia sgangherata. Nei loro pensieri già esisti e ti amano.
La mamma ha solo da imparare dai tuoi fratelli e dal papà - un uomo di grande cultura e di amore perseverante.
La mamma spera di poter rompere le porte della paura e di poter accendere le lanterne della speranza. 
Maddi se un giorno arriverai ti chiamerai Celeste o Edoardo, ma se così non fosse spero che  l'amore che provo per te ti possa arrivare dalle braccia di un'altra mamma.

venerdì 18 novembre 2016

Questa notte il mio cuore mi è venuto a cercare

Alle 3.00 questa notte il mio cuore mi è venuto a cercare.
Faceva male, si capiva che la sua meccanica si era inceppata.
Andava forte, andava piano.
Eravamo io, il mio cuore ed un letto freddo.
Sto per morire, ho pensato.
"Ma che cazzo dici" ha risposto il cuore - "che non lo sai che sono difettoso?"
Da quando so che ho un problema al cuore, lo immagino come un orologio con le lancette.
"Serve un orologiaio", gli ho detto, "chiamo l'orologianza, l'ambulanza degli orologi?"
Non ha risposto. Era troppo concentrato sulle sue meccaniche, per ottimizzare al meglio le forze.
Maledetto archibugio.
Siamo rimasti così in silenzio, io ed il mio orologio.
Ormai erano le 3.40 e sentivo le sue lancette impazzite.
Mi sono messa a piangere, nella solitudine di una notte.
Ho pianto un po' e poi l'orologio si è di colpo assestato.
Le sue lancette sono ritornate a battere normalmente.
Ho respirato forte.
Ce l'abbiamo fatta, anche stavolta.
"So di averti fatto male", ha sussurrato.
"No, ma si figuri eh, faccia pure che io mi diverto".
"Fai poco la spiritosa, ti son venuto a cercare stanotte, perché potessi gridare, ingrata".
Pure ingrata.
"Che gridare e gridare! Non avevo manco il fiato!"
"Ti sono venuto a cercare per ricordarti che è il caso che ricominci a donare te stessa senza pensare alle conseguenze, che ti riapra un tantino alle emozioni del mondo".
Tutto sto casino per sentire; non si poteva trovare un altro modo, meno invasivo?
L'ho mandato affanculo minacciandolo che se ci riprova lo porto a Porta Portese e lo baratto.
Su una cosa ha ragione: quando ho pianto ho sentito di essere ancora viva. Stanotte ho viaggiato sui binari della paura e ho provato una gran voglia di vivere, non di sopravvivere.



domenica 13 novembre 2016

Una ragazza fastidiosa

Con il tempo ho maturato una certa repulsione per le "avversative", per il semplice fatto che la gente ne abusa sottolineando in maniera spropositata situazioni in contrasto con quanto affermano nella frase precedente o con quanto ci si aspetterebbe in base ai comportamenti comuni. Provo fastidio sopratutto per le "coordinate avversative", quelle introdotte dai "ma" e dai "però".
Questo fastidio nasce nel giorno in cui mia mamma tornó dal primo colloquio con le mastre a scuola.
Ancora me lo ricordo, mi aveva lasciata a casa con mio fratello e mia zia. Io non vedevo l'ora che tornasse perché volevo sapere se la mia diligenza nello studio fosse degna di essere lodata.
"Allora mamma che hanno detto le maestre?" - chiedo in un inverno del '93.
"Dicono che sei brava, ma che piangi troppo.Sei un po' piagnona vero'".
Lo disse ridendo mia mamma. Dentro di me saliva una voglia di urlare che io piangevo perché non riuscivo in alcune cose, che era frustrante avere un nome e cognome lungo e che volendolo scrivere bene, preciso e perfetto, ci mettevo tanto tempo, mentre gli altri erano rapidi rispetto a me.
I colloqui con i miei insegnanti sono stati un fiume di avversative: "la ragazza è brava, ottimi risultati, ma...".
Ci dovevano mettere sempre qualcosa del mio carattere: è permalosa, si offende, piange se prende 5.
Ditemi voi poi, cosa c'entra infilare una cosa relativa alla sfera personale se stiamo parlando di rendimento.
"É brava, va bene a scuola". Punto.  Bastava finire la frase così, per poi iniziare un altro discorso. Come se l'esser brava a livello scolastico dovesse andar di pari passo con un carattere o un modus operandi diligente.
I colloqui alle superiori li faceva sempre mio papà. Un modo per essere presente nella mia vita, dopo 15 anni di assenza per motivi di lavoro.
Un'insegante gli disse: "su Veronica niente da dire, guardi il registro, ma ha un carattere!"
Eh già il carattere é direttamente proporzionale all'andamento: bravo a scuola=ragazzo perfetto. Inoltre, anche su questo termine "bravo" vorrei farci una riflessione prima o poi. Qui lo useremo   in maniera impropria (cosa significa essere bravo veramente?).
Quando papà é tornato da quel colloquio mi ha fatto sedere in cucina, mentre la mamma stava preparando la cena e disse:
"senti Vero', mo fai 18 anni, non ci siamo riusciti fino ad ora a contenere alcuni lati del tuo carattere, non credo ci riusciremo più. Per cui ti dico, ricorda sempre che ci vuole: educazione, rispetto e diritti. Scegli tu in che ordine metterli".
Questo ricordo é tutt'oggi accompagnato dal profumo di frittata che mamma fece quella sera.
Mio padre in quasi 30 anni di vita non ha mai pronunciato la parola "brava" in mia presenza, ma mi ha donato qualcosa che vale molto di più: la chiave per indirizzare alcuni aspetti del mio carattere. Il segreto regalatomi è riassumibile in "combatti per il rispetto dei tuoi diritti con educazione".
Ancora oggi, mi sento dire "sei brava,ma" e dentro di me rido perché so di essere  brava, ma fastidiosa. Do fastidio perché non mi piego e perché parlo chiaro. Hanno provato in molti a farmi smettere di essere fastidiosa, ma neanche i miei sono riusciti in questa impresa. Sappiate quindi che continuerò a darvi fastidio.

sabato 22 ottobre 2016

Bacio chiesto o rubato?

Una inflazionatissima pubblicità si concludeva con lo slogan "un bacio è qualcosa di più". Proprio così, che sia vero o di cioccolata il bacio esprime sempre una forma di contattato fisico.
Ora l'arte e la letteratura hanno dedicato opere e testi all'arte del bacio e del baciarsi.
Sembra però che non ne abbiamo tratto un minimo di insegnamento e vista la situazione attuale sono sicura che molti di questi autori si stiano rivoltando nella tomba, chiedendosi il perché il genere umano si sia tanto rincretinito.
Da miei recenti studi, nati dalle conversazioni con amiche single, sembra che fra il genere maschile sia nata una nuova corrente ovvero quella del "Scusi lei, posso baciarla sì o no?".
Corrente che si fonda su una cattiva interpretazione della canzone di Battisti che faceva "Scusi lei mi ama o no?" - sennò non si spiega.
Ebbene sì nel 2016 dovete, care le mie signorine, fare i conti con la possibilità, più o meno elevata, che nel momento clou di un appuntamento, quello con cui siete uscite possa farvi la fatidica domanda "posso baciarti?".
Ecco io vi avverto l'effetto che si scatenerà è quello che si chiama "effetto prugna secca", vi si prosciugherà qualsiasi desiderio, anche quello più remoto. Ve ne vorrete solo andare, chiedendovi dove siano finiti quei maschi che stropicciano e  baciano senza neanche lasciar respirare (esseri rari ultimamente, a quanto pare).
Il mio consiglio spassionato è: andatevene via e lasciatelo lì come il peggiore dei baccalà imbalsamati, così capirà bene che la risposta è No e soprattutto che i baci non si chiedono, si danno.
Voglio spendere due parole anche per i ragazzi che aderiscono a questa corrente: come vi è venuto in mente di anteporre una domanda ad un momento come quello del pomiciamento? Volete restare single per tutta la vita?! Se la risposta é no, fidatevi di me, andate a riscoprire quell'uomo con la clava che abita da qualche parte dentro di voi, togliendovi questo inutile e controproducente eccesso di zelo.
Sono sicura che non mancherete il besaglio!



venerdì 30 settembre 2016

Venerdì con il vuoto cosmico

Sono le 19.00 di venerdì, ti accorgi che non hai piu carta igienica.
Gabriele ha detto che sarebbe tornato alle 19.00, ma lo sai che come minimo potrebbe tornare fra mezz'ora, come massimo fra un'ora e più.
Infatti rincasa alle 19.30.
Prendi ed esci, vai da Acqua&Sapone sperando che non abbia chiuso. 
È aperto, entri e ti ritrovi di fronte allo scaffale della carta igienica.
Siete tu, le due commesse ed una donna sulla quarantina.
Guardi le miliardi di confezioni di carta igienica: quella di marca, sotto marca, sotto sotto marca, quella che costa più e quella che costa meno, quella con il packaging più colorato e quella con il desing plebeo.
Sei lì di fronte ad un mare di carta, che serve fondamentalmente per pulirsi il culo e ti viene da piangere.
Ma che cazzo succede?
Veronica, devi solo prendere una scatola con dei rotoli di carta igienica.
Rimani lì immobile a pensare al vuoto cosmico in cui vivi. Perché nonostante lavori la mattina tutti i giorni più due pomeriggi ed il restante dei pomeriggi li passi a potare i tuoi figli agli allenamenti o stai con loro, sei scout ed hai il tuo servizio, ti occupi della casa e di un blog, sei circondata da persone, comunque sentì il vuoto cosmico salirti dentro. Ti chiedi perché non riesci quasi mai a trovare il tempo neanche per una ceretta, visto che sei in modalità orso marsicano o per una qualsiasi stupidissima cosa che sia per te e solo per te. 
Ti chiedi perché ti senti arenata, affossata; ti domandi se i sogni che tiri fuori e richiudi subito dopo nel cassetto sia giusto inseguirli e dargli forma oppure se sia il caso di gettarli nel cestino.
 Se bisogna osare o perseverare nella strada intrapresa.
Mentre elabori questo coacervo di pensieri realizzi che ti devi muovere, perché Gabriele alle 20.15 se ne va ad una riunione scout e maledici gli scout, perché sono malati di riunioni, soffrono della sindrome del fare e fissano riunioni quando in centro c'è Sharper, al quale non saresti comunque andata. 
Rifletti anche sul fatto che questa settimana ti è andata bene: sei stata da sola solo tre sere, che aggiunte alle ore diurne fanno quasi tre giorni. Concludi che ti sei rotta i coglioni di stare da sola, ma che via questa settimana sono stati solo tre quasi giorni. 
Alla fine afferi il pacco di carta igienica, quello con la confezione rosa, il tuo colore preferito, vai alla cassa e paghi con gli occhi rossi ed il mascara colato.
Sali in macchina, voli verso casa, scendi, sali le scale, entri, saluti e posi il bottino: nessuno si accorge che hai pianto.
Prendi il tuo vuoto cosmico sotto braccio, perché stava dietro di te da quando eri al negozio e ti rassegni al fatto che forse, funziona così.

martedì 27 settembre 2016

Il bon ton della lingua lunga

Carissimi/e lingue lunghe ovvero carissimi tutti noi,
questo post é per ricordarci che il parlar male del prossimo non é cosa buona, né tanto meno giusta. 
Mia nonna diceva che ferisce più una parola che un colpo di spada, attualizzando, potremmo dire che ferisce più una parola che un bel cazzottone sui denti. Perché direte voi, stiamo ancora appresso ai detti popolari? Perché mentre i denti si rimettono a posto, il male che provoca una parola o una maldicenza rimane per sempre, diventiamone consapevoli.
Siccome, però, ci piace troppo sparlare dell'altro, far pettegolezzo e credo che la nostra natura umana non possa farne a meno, cerchiamo di limitare i danni usando delle semplici regole:
1) verificare sempre che nei paraggi non ci siano persone che conoscano l'interessato/a della "chiacchierata", sapete a far figure di merda é un nano secondo oltre che si corre il rischio che il tutto possa essere riferito al diretto interessato con aggiunta di particolari non citati;
2) evitare di parlar male di altri in presenza di chi non conosciamo, la nostra reputazione eviterà così di passare da 0 a -1000 , limitando altresì  il rischio che gli sconosciuti possano riferire all'oggetto della conversazione il nostro "bene dicere", perché guarda un po', lo conoscono;
3) recenti accadimenti, anche tragici, dimostrano come la tecnologia può sputtanarci: pensate voi se ci registrassero mentre sparliamo e passassero il contenuto della conversazione a colui che é al centro della stessa, la figura di merda sarebbe il minimo sindacale. Meditiamo gente, meditiamo;
4) riportare i fatti quanto più fedeli alla realtà. Non serve colorare, gonfiare le cose, tanto prima o poi chi ci sta di fronte scoprirà che abbiamo detto una stronzata e che siamo dei cazzoni sparacazzate.
Non voglio aggiungere altre accortezze, perché già riuscissimo a rispettare queste sarebbe fantastico, quanto meraviglioso sarebbe non doverle mettere in pratica.
Si sa che questa però è utopia.




mercoledì 21 settembre 2016

Confessioni ad un papà: Margherita ed il suo fidanzato



Lunedì sera Gabriele é tornato tardi, i bimbi si erano appena addormentati. A differenza mia, lui ogni volta che torna la sera dopo cena va in camera e gli dà un bacio sulla fronte.
Lunedì però Margherita si è svegliata e gli ha confidato un segreto.
Dopo averla riaddormentata Gabriele é tornato da me in cucina con passo felpato, mentre io stavo spazzando.
"Senti un po'" - mi fa - "Sai niente del nuovo fidanzato di Margherita? Certo G.S. (Ometto il nome per la privacy)?"
"No, ma non era R. Il fidanzato?" - domando a mia volta.
"Ma non era A. Il fidanzato?" - chiede perplesso.
"Credo che tu sia rimasto indietro", faccio.
Mi viene così da ridere che neanche immaginate, ma Gabriele è serio.
"Dobbiamo approfondire", afferma.
"Ma che vuoi approfondire! Manco lo saprà che sono fidanzati".
"Domani approfondisco".
Speravo scherzasse, invece faceva sul serio.
Ore 7.30 di martedì mattina: colazione.
Margherita ha appena inzuppato il suo primo biscotto nel latte. Siamo tutti assonnati, tranne Gabriele che sembra più vispo che mai.
"Senti Marghi, ma chi sarebbe G.S.?"
"Il mio fidanzato" - risponde.
Sta per svenire lo vedo, ha pronunciato la parola "fidanzato".
Riprende fiato ed incalza: "Viene a scuola con te?"
"No, è andato alla scuola dei grandi".
Siamo salvi dallo svenimento, meno male.
"Quindi non viene PIÙ  a scuola con te?"
Interviene Alessandro: "no papi, non hai capito che va alla scuola dei grandi?"
"Marghi comunque basta con questi fidanzati più grandi, troviamolo della tua stessa età"
Preciso che stiamo parlando di un bambino di 2 anni più grande...quale ars oratoria e quale sottigliezza nel pronunciare la parola TROVIAMOLO!
"Non sarà troppo presto per pensare a queste cose Marghi?" - continua.
Oh non molla stamattina, penso, sono le 7.40 di martedì e la treenne è già sotto interrogatorio.
"Amore basta", dico, "continui così ed a tredici anni ci scappa di casa".
"A tredici anni va in clausura dalle suore" - risponde e chiude.
Niente, Gabriele è geloso. Accettiamolo.

sabato 17 settembre 2016

"Ai Uanna bi": chi ero, chi sono, cosa sarò.



Chi è che alla materna non si è sentito chiedere: "che cosa vuoi fare da grande?".
A cinque anni rispondevo che "ai uanna bi" a maestra. 
Un grande classico di tutti i cinquenni: la maestra. 
Già alle elementari, però, avevo cambiato idea: ero indecisa se fare il comandante della Guardia Reale, ovvero Lady Oscar, oppure diventare una campionessa di pallavolo capace di rendere i palloni fluorescenti ed ovali come Mila Hazuki. 
Non sono diventata nessuna delle due e meno male, direi!
E' stato poi il momento delle medie ed ero convinta che "ai uanna bi" a psicologa. Mi ero presa così sul serio che analizzavo tutti, seguendo non si sa quale scuola di pensiero, semplicemente andavo a ruota libera e devo dire che mi veniva benone (chiamasi "il culo" del principiante), perché mi stavano a sentire. Riflettendoci bene adesso, forse non volevano dirmi che "scassavo la minchia" e si mostravano semplicemente gentili, ma..non facciamoci troppe domande.
Scuole superiori: zero carbonella.
Unica cosa compresa: le materie scientifiche non fanno per me. Infatti in cinque anni, di scienze ricordo solo il diagramma HR (nascita, vita  e morte di una stella), gli integrali non l'ho mai capiti e non mi sono riusciti, della teoria della relatività ricordo solo i disegni sul libro di fisica.
Alla fine del quinto avevo proprio chiaro che "ai uanna bi" qualcosa di umanistico.
Prendo filosofia!
- Ma che ci fai con filosofia? Vuoi fare la disoccupata?
Allora psicologia a Firenze?
- Non abbiamo i soldi per mantenerti fuori sede.
Scienze del Servizio sociale?
- Il mondo è pieno di assistenti sociali, su...
Scienze dell'educazione?
- Scienze dell'educazione.
Per me l'università è stato un triennio di amore per materie che parlavano alla mia vita, alla mia storia. E' stata una scuola di vita soprattutto.
Se dovessi scegliere, risceglierei Scienze dell'Educazione sempre.
Da li "ai uanna bi": educatrice.
Lo sono stata.
Disabili e nani da nido.
Le cose della vita mi hanno portato in un altro mondo ed allora "ai uanna bi" nel mondo della formazione.
Dal 2013 sono ancora qui, con appendice nel settore comunicazione.
Ma alla soglia dei 30 mi chiedo se "ai uanna bi" qualcos'altro. Se non sia giusto provare a realizzare qualche sogno che ho relegato nel cassetto e che ogni tanto sbuca fuori a ricordarmi che il tempo scorre ed il momento per vivere è ora.
Ancora, alla soglia dei 30 anni mi sveglio la notte e dico "ai uanna bi" felice. La mia felicità è fatta di tanti spicchi di un'arancia, ma mancano gli spicchi dei sogni non realizzati.
Non voglio arrivare ad avere il rimorso per quello che non ho fatto, ma che avrei potuto fare.
Ora è il tempo di fare, di progettare e provare a realizzare i miei sogni. Andrà bene? Andrà male? 
#esticazzi!
Potrò sempre dire di averci provato.


sabato 3 settembre 2016

5 anni.

"Vi dichiaro marito e moglie.
E vissero felici e contenti".
Non pensiamo forse tutti questo quando ci sposiamo o partecipiamo alla cerimonia di matrimonio di qualche amico?
"Che bello", "Che meraviglia"!
Si che bello un cazzo direi!
Perché nessuno lo dice abbastanza ma il matrimonio é una strada infinita fatta di salite, piane fra i boschi, discese a barutli, di nuovo salite mentre corri e ti manca il fiato, passeggiate sotto le stelle, discese mentre mangi un panino al salame,per poi ricominciare salita, piana e discesa. 
Oggi io e gabriele compiamo 5 anni di matrimonio e siamo felici, in un meraviglioso momento di Piana, perché il bello non é la discesa (preludio di una nuova salita), ma la pianura dove puoi andare ad un ritmo sostenibile, avendo la possibilità di poter osservare quali meraviglie ti circondano e chi sta condividendo questo percorso con te.
In cinque anni però molte salite e discese sono state affrontate: tante cose sono successe nel nostro matrimonio alcune belle ed altre meno belle.
Io amo definire la nostra storia una "storia compressa", in cui subito andavamo già a tutto gas: è arrivato Alessandro, poi una convivenza, un matrimonio ed una bambina l'anno dopo. 
Arco temporale 2 anni.
Tutto Fantastico  i primi mesi di matrimonio, poi quando incomincia LA VITA quella fatta di gioie e dolori, dove ti scontri con la sofferenza e la diversità, tutto diventa un po' meno pink ma un po' più dark.
Siamo pronti a starci con una persona anche quando questa ti causa sofferenza, quando colui che ami ti fa male?
A me e Gabriele è successo di vivere sotto lo stesso tetto ma di essere lontani, estranei, di non saper riconoscerci. Di voler amarci e non riuscire a dimostrarlo, di amarci e farci comunque male.
Com'è sta storia mi sono chiesta? 
Lo amo e gli faccio male. Mi ama e mi fa male. Ecco una grande scoperta: l'amore può far tanto male.
Può far così tanto male che ad un certo punto uno decida che è il caso di chiuderla una storia. Quel qualcuno nel nostro caso ero io.
Un anno fa io ero pronta ad andarmene con le valige, ma sono rimasta.
Sapete perché? Perché Gabriele nonostante gli stessi facendo male con la mia scelta continuava ad amarmi con atti di amore gratuiti.
Sono proprio quegli atti di amore nel dolore che mi hanno svegliato e fatto capire che il mio posto era qui vicino a lui con le nostre diversità da accettare, modalità di relazionarsi da cambiare ed un lungo lavoro su me stessa da fare.
Oggi siamo ancora insieme, con le nostre ferite cicatrizzate, felici di esserci riscelti, una felicità diversa da quella speriamentata i primi mesi di matrimonio, ma comunque piena.
Se siamo qui è grazie a chi ci ha sostenuto con la preghiera, la presenza, l'affetto, un gesto, una parola..
Dio ci ha messo vicino tanti angeli per sostenerci, grazie BOSS!
E buon anniversario Gabrie'! 


sabato 9 aprile 2016

Il vaso di Pandora dei sogni non realizzati

Ieri era un venerdì sera come tanti altri: la doccia, il divano ed i film che la tv passa il venerdì. Ovvero quelli idioti. 
Ecco ieri sera alle 22.30 sono riuscita a sedermi sul divano e mi sono messa a vedere "Neeed for Speed", tipologia di film che a me non piace, perché io sono per due grandi filoni quello delle commedie e quello delle storie d'amore. Tutto il resto, a parte qualche rara eccezione, da me non è preso in considerazione.
Verso la fine c'è una scena in cui viene inquadrato un cartello con scritto "California". Questo cartello mi ha fatto male, più male di uno schiaffo: si è scoperchiato il vaso di Pandora dei sogni repressi e non realizzati.
California e un dolore alla pancia.
California e un sapore amaro.
California e la malinconia che ti porta via.
Ho pensato a quanti sogni non ho realizzato e che vorrei realizzare. Il colpo è stato grosso: tanti, troppi.
La cosa più pensate è che io li metto a tacere, li reprimo in un angolo. Ma a forza di inghiottire prima o poi loro ritornano. Tornano su con violenza per farti male.
Quel cazzo di cartello passato per cinque secondi nel film mi ha fatto pensare a quanto mi piacerebbe viaggiare, a quanto la California da sempre sia una dei Paesi che mi piacerebbe visitare.
Da li poi ha preso vita una valanga di sogni non realizzati, di cose che faccio e non mi piacciono, di cose che vorrei fare e non riesco a fare.
La cosa che mi disintegra di più è il confronto con i coetanei. La gente della mia età fa altro, vive altre vite, non ha figli, esce la sera, il pomeriggio, la mattina, non ha vincoli, studia, sembra che si diverta. Si diverte davvero? E' piena nella vita? 
Avverto molto spesso una grande fatica nella gestione di una vita che va troppo veloce, in cui per fare anche una doccia sembra che bisogna conquistare l'Everest.
Mi chiedo se questo sia giusto. 
Se ho fatto la scelta giusta. 
Se sono sbagliata io.
Se questo essere fagocitata dalla vita sia corretto.
Se gli altri vivono meglio. 
Se sono sbagliata io o quelli che conducono una vita diversa da me.
Il confronto fa male: vedo continuamente gente che realizza obiettivi, fa centro mentre io sono sempre a zero. 
E' vero ho i figli. Una famiglia che amo molto, ma non sono fatta solo per la mammitudine, per essere felice ho bisogno anche di avere con me altre sfere, a completamento di questa felicità. E' difficile confrontarmi anche sulla figliolanza: pochissimi sono quelli che fra i 20 e 30 anni hanno dei figli. La gente inizia a pensare di fare i figli dopo i trenta.
Mi sento di avere una felicità zoppa in cui ogni volta che cerco di realizzare un sogno ci si mette qualcosa di mezzo. Non viene realizzato e va a finire nel vaso di Pandora. 
Il tempo mi sfugge fra le dita ed il vaso di Pandora per l'ennesima volta è stato richiuso anche ieri sera.

martedì 23 febbraio 2016

Di NON sensi.

Sulle note di "se stiamo insieme ci sarà un perché e vorrei scoprirlo stasera" inizio a scrivere questo post sui non sensi che ho scoperto far parte della mia vita. Scoperta che si colloca nell'arco di tempo che va dalla domenica al martedì dopo pranzo.
Premetto che sarà un post disordinato per cui se siete dei puristi dell'italiano questo posto non é per voi ed io almeno qui voglio avere della licenza poetica personale.
Primo: soffro di Monday Blues. Inizia la domenica pomeriggio una sensazione di disagio e malessere diffuso in vista dello sbarco del lunedì. Ha ragione mio figlio: ci vorrebbero 80 giorni di riposo al mese perché solo due a settimana sono insufficienti e non fai in tempo a capire che ti stai riposando che é già tempo di tornare  nel frullatore chiamato settimana.
Secondo, non ho capito che faccio nella mia vita: che ruolo ho? La madre? La madre lavoratrice? La madre lavoratrice part-time? La lavoratrice e madre? La mammamoglielavoratrice? Che lavoro fai? Mio padre ed alcune persone hanno rinunciato anche a capire di che cosa mi occupo al lavoro. Troppo complicato da capire, si vede. Ed in queste situazioni mi sento come un pesce fucsia in un acquario di pesci ben definiti della stessa specie. Volevo fare lady oscar da piccola, come é possibile che non ci sia riuscita?
Terzo: stento a capire il senso dell'umiliazio estrema ratio (licenza poetica ricordate!) che in questo pianeta di terresti é utilizzata spacciata per correzione fraterna. É proprio il vantaggio che ne deriva dal suo utilizzo che mi sfugge ma che continua a ferirmi.
Quarto: perché ogni volta che faccio un piano va a monte? Forse perché l'unica cosa che va secondo i piani é l'ascensore.
Quinto: non capisco perché i giovani siano sempre considerati come gente idealista poco concreta che fa rima con analfabeta. Perché ci piace che i grandi siano sempre meglio dei piccoli. Ma vi sbagliate e ve ne renderete conto.
Sesto: non sono ancora diventata brava nello scivolamento "entra orecchio esce altro" delle cose dette. Credo che dovrò farci un master.
Settimo, come il settimo giorno della settimana, credo di soffrire di settimana blues.


martedì 16 febbraio 2016

La verità è che non gli piaci abbastanza!


Post Ironico dedicato a tutte le donne che si struggono INUTILMENTE per amore.

Donne questo post è per tutte quelle che, come me, pensano e soprattutto SPERANO ancora che gli uomini ragionino allo stesso nostro modo. 
Donne, ammettiamolo, gli uomini sono molto più lineari e semplici rispetto a noi che in un minuto siamo in grado di fare frullati di pensieri e centrifugati di film mentali.
Se un uomo dice NO è NO, se un uomo dice SI è SI. E' semplice, per loro le parole hanno quel significato! 
Per noi invece NO potrebbe dire "Si"; "forse"; "vedremo"..cioè una parola possiede molteplici significati che conosciamo solo noi, che sono nella nostra testa di cui pretendiamo che i maschi ne colgano il significato e che siano in grado di tener conto, nell'interpretazione di quello che diciamo, anche del contesto in cui lo esprimiamo!
Ragazze, so che è difficile da ammettere ma è troppo complicato per loro...non ce la fanno! Arrendiamoci all'evidenza. Non volete arrendervi, allora armatevi ed immolatevi per una causa senza speranza!
Gli uomini sono ON/OFF non ce le hanno le miliardi si sfumature che noi speriamo abbiano per mettere in pratica le nostre strabilianti doti interpretative!
Non ci basta interpretare il loro linguaggio, no no, noi andiamo oltre, ci cimentiamo anche nell'interpretazione dei comportamenti maschili. Ma quanto ci piace? Soffriamo tutte della sindrome di Candy Candy!
Facciamo un esempio: se un uomo con cui ci sentiamo e/o ci vediamo ad un certo punto sparisce non facendosi più sentire, ecco che ripartiamo con i centrifugati di pensieri, lugubrazioni ed i coacervi di ipotesi:
- "Sicuramente starà male";
- "Lavorerà tanto";
- "Avrò detto qualcosa io di sbagliato";
E molto altro ancora, noi, infatti, siamo le maghe delle giustificazioni.
Va benissimo tutto ma, riflettiamo, quanto ci vuole a mandare un messaggio? Un minuto a dirla grossa?
Convenite con me che sentirsi almeno una volta alla settimana è IL MINIMO SINDACALE? Se uno non trova neanche un minuto alla settimana per scriverti bé non raccontiamoci cazzate: la verità è che NON GLI PIACCIAMO ABBASTANZA.
Quando un uomo sparisce c'è solo un motivo: non gli piacciamo abbastanza da richiamarci, oppure ne ha altre che gli piacciono più di noi.
Ci hanno fatto anche un film e noi ancora non l'abbiamo capito.
Quindi smettiamola di struggerci e di dedicare tempo a chi non lo merita.
La soluzione è tirare una linea e mandare un VAFFANCULO mentale che prima o poi verrà recapitato al destinatario.
E ricordate gli uomini sono esseri semplici "Si/No - On/Off"!